La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Un intero pianeta in mezzo al mare

Spiagge e scogli, fondali bassi e fondali profondi, sabbiosi e rocciosi, grotte e faraglioni. Sulle coste sarde è possibile trovare quasi tutte le tipologie di mare disponibili in natura. Ed è questa – assieme alla varietà delle parlate, dei costumi e dei paesaggi – una delle ragioni per cui la definizione dell’Isola come un “quasi-Continente” ha avuto tanto successo. Per verificarne la fondatezza, abbiamo pensato di chiedere ad alcuni sardi che si sono distinti nelle rispettive professioni – una scrittrice (Paola Soriga) e un navigatore solitario (Gaetano Mura), una sociologa del lavoro (Lilli Pruna) e un musicista (Paolo Fresu), un giornalista (Marco Corrias) e un’esploratrice geografica (Daniela Pani), un neuroscienziato (Gianluigi Gessa) – se fossero in grado di gemellare idealmente qualche tratto della costa isolana con uno o più dei luoghi di mare incontrati nei loro giri per il mondo. Non solo tutti hanno accettato di partecipare al gioco, ma tutti in qualche modo l’avevano già fatto: ognuno, infatti, aveva uno o più “mari gemelli” da segnalare. O l’ha trovato lì per lì, come se lo sapesse da sempre e attendesse solo il momento di dirlo.
Sarebbe stata una formidabile conferma della nostra ipotesi, se non avessimo subito notato che la maggior parte di questi ideali gemellaggi non si fondava sulla somiglianza fisica. Anche quando essa li aveva ispirati, a guidare gli abbinamenti non era la conformazione dei luoghi, ma la loro memoria. Non era la morfologia, ma la nostalgia. Così – nel tentativo di arginarla – abbiamo pensato di chiedere alla più giovane del gruppo, Paola Soriga, di introdurre l’intero discorso. Di esporre i suoi abbinamenti e di presentare quelli altrui. L’idea era che la giovane età, e la conseguente sua minor esposizione alla nostalgia, le consentisse una visione un po’ più oggettiva. Ci sbagliavamo. Nel motivare le sue scelte, e nel ragionare su quelle altrui, ha proceduto in un modo molto simile a quello del più anziano del gruppo, il neuroscienziato Gianluigi Gessa. Entrambi sono partiti della memoria dell’infanzia. In definitiva, l’esperimento è riuscito, ma non la dimostrazione dell’assunto.
Sia chiaro, non abbiamo rinunciato all’idea di poter trovare in Sardegna tutti i mari del mondo, ma siamo arrivati alla conclusione che la ricerca degli abbinamenti vada affidata ai geografi. Se la affidi ai sardi, anche a gente colta e scafata, ti portano altrove. Come se la memoria del mare coincidesse con la memoria generale. In definitiva, non abbiamo individuato in Sardegna tutti i mari del mondo, ma forse abbiamo scoperto uno dei fondamentali tratti identitari dell’insularità.
Il mare siamo noi perché saremmo molto diversi se non fossimo circondati dal mare. Osservando un planisfero, si può sostenere, con argomenti altrettanto buoni, che le terre delimitano il mare o che il mare circonda le terre. Si può stabilire che il mare separa o che invece il mare unisce. Quando vivi in un’isola, sei obbligato a scegliere una risposta. Non che questo ti renda migliore o peggiore dei non-insulari. Ma ti agevola nell’individuazione di uno dei problemi fondamentali dell’esistenza. Quello che oggi papa Francesco sintetizza nell’alternativa tra “costruire ponti” e “costruire muri”.
Se vivi in un’isola, il mare te lo trovi fin dall’infanzia in mezzo ai piedi. E hai due possibilità: puoi prendere atto che la terra è finita e fermarti, tornare indietro e ritenere che tutto il mondo sia solo quello che puoi raggiungere camminando. Oppure puoi arrivare alla conclusione che la tua terra è unita a tutte le altre terre del mondo, ma da un elemento instabile e anche pericoloso. Se vuoi attraversarlo, devi ridurre il bagaglio al minimo. Sulla terra potevi spostare massi enormi per centinaia di metri, metterli assieme, e costruire un nuraghe. Sul mare anche il più piccolo di quei massi è sufficiente per far colare a picco la barca. L’unico contenitore in grado di trasferire tutto è dentro la tua testa. Allora vai incontro al mondo grande, con quel piccolo mondo dentro la testa che diventa lo schema interpretativo di tutto ciò che trovi, anche perché rapidamente ti accorgi che le dinamiche fondamentali sono identiche. In definitiva scopri di appartenere al genere umano. Che di questi tempi non è una conquista da poco. Una scoperta che può consentire imprese straordinarie. Addirittura può succedere che una minuta donna nuorese – Maria Giacobbe ce lo spiega in questo numero col suo magistrale racconto sull’identità – riesca a trasferire l’intera Sardegna in Danimarca.