La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Quando il Touring scoprì la Sardegna

Allorquando, circa un secolo fa, le isole di Sicilia e di Corsica erano ben conosciute ed apprezzate come mete importanti del turismo internazionale, e il ‘San Domenico’ di Taormina come il ‘Au Cheval Blanc’ di Ajaccio erano considerati dei prestigiosi hotel de charme frequentati dalla cream dell’alta società europea, la Sardegna era ancora del tutto sconosciuta e ignorata per via dell’arretratezza e l’insalubrità del suo habitat. Penalizzata da trasporti rari e precari, quasi del tutto priva di strutture ricettive e con un’ospitalità molto spesso affidata, come scrisse un turista francese, al solo bon coeur dei suoi abitanti.

Di questo ritardo, si può trovare una conferma anche nel fatto che solo nell’agosto del 1918 le fu dedicata la guida “rossa” del Touring Club d’Italia (quella della Lombardia era alla dodicesima edizione).

Pubblicata in 200mila esemplari ed edita sulla falsariga dei celebri Manuel du voyageur di Karl Baedeker, si proponeva di offrire ai visitatori dell’isola “una sorta di buon cannocchiale per scorgere un po’ più in là di quel che gli passerà sott’occhio, indicando ciò che davvero può essere interessante da vedere”. Ne era autore Luigi Vittorio Bertarelli, che la dedicherà, con la retorica tipica di quegli anni della Grande Guerra, “a te Sardegna!, ed ai soldati tuoi figli, prima ignorati ed ora circondati dall’ammirazione di tutta Italia”.

È assai interessante scorrerla, soprattutto per i ‘consigli pratici’ forniti a chi intenda visitarla, iniziando dalla stagione più adatta, la primavera, “perché il paese è tutto verde, specie nel maggio, e vi è dappertutto sicurezza dalla malaria, che è più temibile dopo la metà di luglio fino a tutto novembre (è bene effettuare allora una cura profilattica col Chinino di Stato, così semplice e di nessun incomodo: si compra in tubetti da 10 tavolette dal tabaccaio a 50 centesimi)”.

Per raggiungerla, la guida suggerisce il piroscafo della ‘Navigazione delle Ferrovie dello Stato’, in partenza ogni giorno da Civitavecchia alle ore 20 e con l’arrivo a Golfo Aranci alle 5 (in prima classe 18,70 lire, in seconda 12,05 ed in terza 5,55). Poi, una volta arrivati, bisognava tener presente, che “il conforto è presso a poco nullo, e l’organizzazione alberghiera, fuorché a Cagliari e Sassari, non esiste neppure in embrione, per cui per trovare un qualche alloggio privato occorre agire con pazienza, eccitamenti e trattative!”. La Sardegna, insomma, non era «un sito per il viaggiatore che ami i propri comodi», anche se l’ospitalità della gente era straordinaria: “Si manifesta in una misura che stupisce il continentale ed in maniera cordiale, toccante di cui non si ha idea”.

È la fotografia di una terra che era rimasta esclusa da quel movimento che da metà dell’Ottocento in avanti, anche grazie alle doti organizzative dell’inglese Thomas Cook, il primo tour-operator della storia, stava portando nel Mediterraneo un numero crescente di nord europei.

A quella prima ‘guida rossa’ va riconosciuto il merito d’avere favorito la scoperta della nostra Isola allora dimenticata e sconosciuta. Pochi anni dopo, infatti, furono organizzate le manifestazioni annuali della ‘Primavera Sarda’, dalle quali nacque il primo embrione di offerta turistica. Che utilizzò come richiamo proprio quanto di straordinario e di incontaminato la Sardegna conservava nel suo territorio e fra la sua gente. Ai turisti venivano proposte una terra ancora vergine di modernità e una società rimasta, come avrebbe scritto Elio Vittorini, ‘bambina’. La guida turista del Touring va ricordata, dunque, come il primo passo di un cammino che, proprio grazie al turismo, una trentina d’anni dopo avrebbe portato l’Isola a divenire finalmente ‘adulta’. Tanto da essere apprezzata come luogo ideale per vacanze de charme, e con il suo hotel “Cala di Volpe” che superò, in luxury, lo storico “San Domenico” di Taormina.

Paolo Fadda

 

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