La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Tanto di cappello

«Non torno» . La videochiamata via Skype con i manager di Londra si chiude così. Da Puerto Princesa, isola delle Filippine, una ragazza quasi trentenne in vacanza ha appena deciso cosa farà della sua vita. Con buona pace di chi la vedeva dietro una scrivania a disegnare negozi d’alta moda o allestire vetrine nelle più grandi capitali europee, i suoi piani sono altri. Un vecchio furgoncino Volkswagen trasformato in laboratorio mobile, una macchina da cucire con vista finestrino, ago e filo per lavorare paglia, canapa e feltro. Tanto basta per stravolgere i piani e inseguire un sogno: rilanciare in Sardegna l’arte, tutta manuale, dei cappelli in fibra naturale. Quella ragazza si chiama Francesca Sabbagh, cagliaritana di 32 anni. Nel 2015 per uno strano intreccio della vita da tre mesi si trova in Asia, durante un periodo di aspettativa da addetta al visual merchandising per L’Oréal a Londra. Nella guest house in cui alloggia ha appena notato una vecchia signora che cuce un patchwork con stoffe riciclate dalle quali crea cuscini e grandi tessuti. Nella mente scorrono i ricordi della nonna-sarta che le ha dato i primi rudimenti di uncinetto. Una suggestione mai sopita che tornerà più tardi. Esattamente nel 2017 quando Francesca incontrerà un’altra donna chiave nel suo percorso: Charo Iglesias, sombrerera di Madrid, conosciuta in tutta la Spagna, tanto da meritare un’apposita voce su Wikipedia. Sarà lei ad iniziarla all’arte della cappelleria a cui ha dedicato tutta la carriera. Dal suo laboratorio escono da decenni pezzi unici di alta costura (‘cucito’, nda), pezzi unici”. che finiscono sulle passerelle dell’alta moda e nelle prime pagine delle riviste specializzate. «Non sono nata con l’idea di voler fare cappelli – dice Francesca -, eppure ripensandoci ora sono sempre stata attratta da questo accessorio. Per passare il tempo realizzavo già borsette e cappellini. La professione – se la vogliamo chiamare in questo modo – è arrivata in un momento in cui non stavo lavorando tanto nel settore dell’architettura, la mia specializzazione. E in realtà mi ero anche un po’ stufata. Allora ho deciso di andare a Madrid, assieme a un’amica, per cercare un altro posto di lavoro, qualcosa di alternativo. Mi è stato fatto il nome di Charo Iglesias. Sono andata a trovarla e mi sono innamorata del suo mondo, così è diventata la mia Maestra».

di Andrea Deidda