La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Su stiddiu, il lago nella grotta

Sono nata al numero ottantuno di viale Merello a Cagliari, nei pressi di piazza D’Armi. È stato lì, in quella casa, che ho sentito per la prima volta l’odore di una grotta. I miei genitori dicevano che il pavimento della mia cameretta spesso era umido perché “sotto c’è una grotta con un lago”. L’odore non era il solo sintomo della sua presenza. Capitava ogni tanto che sull’asfalto si aprissero delle voragini. Addirittura un giorno se ne aprì una enorme e ci cascò dentro un autobus.

Allora non avevo la minima idea che quel mondo sotterraneo avesse un accesso a livello della strada, una porticina di metallo all’inizio di viale San Vincenzo, davanti alla quale passavo tutti i giorni. Prima di poterla aprire ho dovuto aspettare di diventare una speleologa e familiarizzare con le cavità artificiali, cioè praticare la speleologia urbana. Solo allora, finalmente, ho potuto raggiungere “la grotta con il lago”, che in realtà si chiama Su Stiddiu, (“il gocciolamento”) perché là sotto era, ed è, in atto un ininterrotto stillicidio d’acqua.

Alla fine di una prima discesa lungo un buio cunicolo in cemento, ho raggiunto le scalette a staffe e poi ho proseguito fino al pavimento di un vasto salone. Il lago era là, ma ora di quei quattro metri di acqua cristallina, per via degli interventi di manutenzione della rete idrica per ridurne le perdite, ne è rimasto uno solo. L’abbassamento del livello dell’acqua ha prodotto un unico vantaggio: il ritrovamento di un camino artificiale, a sezione quadrangolare con lato di 1,5 metri circa e alto oltre 20 metri. Non se ne avevano notizie recenti, ma lo si trova citato in un libro del 1882, il Nuovo Itinerario dell’isola di Sardegna di Pasquale Cugia. E se ne scopre una funzione inaspettata. Cugia scrive infatti di un “apposito meccanismo” che dalla “sovrastante collina” vi immetteva, per rinfrescarla e filtrarla, la birra prodotta dalla ditta Ferrero-Barisonzo.

Ma scoprire che Su Stiddiu a un certo punto della sua storia era diventato una specie di gigantesco frigorifero industriale, non ne ha cancellato il fascino. Anzi, me lo ha reso ancora più familiare. Quella grotta, ho scoperto, ci è sempre stata amica. Secondo un autore di poco precedente a Cugia, il canonico Giovanni Spano (Guida della città Cagliari e Dintorni, 1861) nella grotta dentro la cisterna di Su Stiddiu c’era la più fresca acqua filtrata di Cagliari. Di certo, fino alla costruzione dell’acquedotto cittadino (avvenuta nel 1867) ha garantito l’approvvigionamento idrico per tutta Cagliari.

Un’ottantina di anni dopo, Su Stiddiu cambiò di nuovo “destinazione d’uso”. Infatti, a ridosso del secondo conflitto mondiale, il Genio Civile censì le cavità e grotte cittadine da adibire a rifugi antiaerei, includendolo nell’elenco. Dal gennaio del 1942 divenne ufficialmente un luogo dove tentare di ripararsi dalle bombe. E, in un certo senso, incrociò per la prima volta l’aggettivo che oggi ha preso il posto di quelli (affascinante, magico, misterioso) che la mia memoria d’infanzia vorrebbe poter ancora associare al “lago della grotta”: l‘aggettivo è “pericoloso”.

Già, oggi la cavità di Su Stiddiu è soprattutto questo: una fonte di pericolo. Ogni giorno auto private, mezzi pubblici e tanti studenti ne calcano la volta fragile. Il rischio di un crollo da anni tormenta i sonni degli amministratori di Cagliari.

Nel marzo 2014 – sulla base dei risultati di costose analisi geognostiche altamente tecnologiche – il Comune ha annunciato che, per scongiurare il rischio di ulteriori crolli, Su Stiddiu e l’adiacente cavità della Frana saranno riempite – “in modo reversibile” – di argilla espansa e resine. Ci vorranno 800mila euro, più della metà del milione e mezzo dei fondi destinati per mettere in sicurezza l’area. Se l’intervento sarà attuato in questa forma, sarà eliminato il pericolo, ma sarà anche cancellato il luogo. Diventerà inaccessibile. E se ne andrà via non solo un pezzo della mia infanzia, ma della memoria di tutta una città.

Daniela Pani

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