La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

I monti sommersi che scuotono la terra

Nel suo Voyage en Sardaigne del 1826, il generale sabaudo Alberto La Marmora, illustre geografo e naturalista, scrisse che «la Sardegna non va soggetta a terremoti» (la Sardaigne n’est pas sujette aux tremblements de terre). Probabilmente gli era sfuggito quel petroglifo che già da un paio di secoli era stata scolpito su una delle pareti della sagrestia della Cattedrale di Cagliari: “Ad 4 Juny terremotus factus est 1616” (Il 4 di giugno 1616, ci fu un terremoto). Benché la storia geologica del Mediterraneo evidenzi che la terra di Sardegna è stabile da sette milioni di anni, l’idea (molto diffusa) che sia del tutto immune dai terremoti è priva di fondamento. Il catalogo dei terremoti dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ne elenca numerosi, spesso di energia nient’affatto trascurabile, anche negli ultimi cinquant’anni. Quello del 18 giugno 1970 (di magnitudo 4.8) avvenuto alcune decine di chilometri a nord-ovest dell’Isola; quello del 28 agosto 1977 (magnitudo 5.4: venne avvertito nell’intera Sardegna meridionale) localizzato a un centinaio di chilometri a sud-ovest dell’Isola di San Pietro. E quello – forse il più famoso – dell’agosto 1988 di magnitudo 5.5 lungo la faglia attiva di San Antioco-Isola del Toro-Monte Quirino. Uno degli ultimi terremoti rilevanti è stato registrato dodici anni fa: due sismi, di magnitudo 4.5, avvenuti nell’estensione verso il mare della maggiore faglia del Campidano, che delinea il bordo occidentale della pianura. “Faglia” e “attiva” sono le due parole chiave di questo racconto, mentre la montagna sottomarina nota con il nome di Quirino ne è il protagonista.

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