La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

L’alto artigianato dei vini locali

Non c’è dubbio che la qualità del vino sardo abbia raggiunto negli ultimi anni ottimi livelli. Sono cresciute le cantine cooperative che garantiscono valide etichette vendute a prezzi onesti e mantengono vivo un tessuto sociale legato alla viticoltura: sono cresciuti i privati, sia in termini numerici, sia in termini qualitativi. 

Ma a prescindere dalla bontà dei singoli prodotti, valutata sempre con una giusta dose di soggettività, il dato importante da evidenziare è la direzione intrapresa dalla maggior parte delle realtà vitivinicole. Sia le aziende più grandi, sia i viticoltori che contano su alcuni ettari di vigna vanno sempre più alla ricerca di vini autentici, altamente territoriali, dove la vigna, il terreno, il clima (a proposito, l’annata 2016 con la vendemmia conclusa sembra ottima, ma meglio aspettare sempre la prova del bicchiere) contano davvero e in cantina la tecnologia e l’enologia moderna servono solo a non rovinare il lavoro fatto tutto l’anno tra i filari.

Viene naturale definire ciò un lavoro di alto artigianato, volto a far emergere le caratteristiche uniche dei nostri territori e slegando i vini da quella omologazione che li renderebbe perdenti in un mercato globale. Tutto ciò però deve essere supportato da un’attenta comunicazione al consumatore che passa obbligatoriamente dalle denominazioni e, di conseguenza, dai consorzi di tutela e dalle strade del vino. Il singolo produttore, da solo, riesce a fare poco. La Sardegna è, e deve essere, la prima parola chiave per comprendere le peculiarità dei suoi prodotti, ma poi c’è bisogno di parlare sempre più di Mandrolisai, di Marmilla, di Sulcis, di Gallura, di Ogliastra, di Barbagia, arrivando a citare anche singoli paesi come Mamoiada, Bosa o Usini, giusto per fare qualche esempio. Invece si continua a parlare troppo di vitigni, inseriti in grandi Doc regionali (basta citare Cannonau di Sardegna o Vermentino di Sardegna) che non rendono onore alla viticoltura dei microterritori che l’Isola regala.

Giuseppe Carrus