La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

La scuola fantasma

È metà ottobre, ma a Goni – 492 abitanti nel Gerrei, a 60 chilometri da Cagliari – la scuola è ancora chiusa. Eppure l’edificio che dovrebbe ospitarla sembra non aspettare altro che gli studenti. Tutto è in ordine: il cortile con lo schieramento di bidoni per la raccolta differenziata, la facciata con gli infissi nuovi di zecca che fanno capolino dietro le tapparelle socchiuse. A uno sguardo più attento, noti persino gli adesivi piazzati dalla ditta che ha eseguito i lavori di ristrutturazione. T’informi e vieni a sapere che presto, per ridurre il consumo energetico, sarà abbassato il controsoffitto delle aule. Ma dentro quelle aule non c’è nessuno. 

«Vada all’ingresso del paese», suggeriscono. Ci vai – una passeggiata di dieci minuti – ed ecco la palestra “distaccata” della scuola. Forse sono tutti qua. Forse a Goni si fa il saggio d’inizio, anziché di fine anno. O l’ora di educazione fisica è la stessa per tutti gli studenti. Ma anche la palestra è deserta. Deserta e nuovissima, consegnata a giugno. Il parquet splendente, le linee del campo di basket intonse, nemmeno un piede le ha ancora sfiorate. Un bel lavoro, costato – ti spiegano – più di 200mila euro della Regione. Di fronte c’è anche un campo di calcio in erba sintetica. Vuoto. Di studenti nemmeno l’ombra.

Ma no, eccoli. Forse. Spunta il muso di un autobus in fondo alla strada principale. È l’autobus degli studenti, ti assicurano. Un autobus granturismo preso a noleggio dal Comune che spende anche dei bei soldi per pagarlo. Ed evidentemente non lesina i contributi per le attività alternative. La scuola è vuota, pensi, perché è il giorno della gita scolastica. Stanno rientrando. Strano orario, però. È quasi l’una. Dev’essere stata una gita breve. Anzi brevissima. L’autobus ti passa accanto. Guardi dentro: c’è un solo passeggero: l’autista.

Cosa è successo a Goni e ai suoi studenti? Un’epidemia di influenza li costringe contemporaneamente a casa? Hanno aderito a qualche sciopero di cui, però, non si ha notizia? No, in questo momento sono tutti e ventotto a scuola: sono tutti nelle classi. Precisamente, i bimbi delle primarie a Ballao, quelli delle secondarie a San Nicolò Gerrei, i ragazzi della terza media a Senorbì. Questo spiega perché la scuola è vuota, non è invece chiaro perché lo sia anche l’autobus che, al contrario, dovrebbe avere un bel da fare con tutti questi studenti da accompagnare di qua e di là.

Ci chiarisce il mistero, il racconto di due testimoni molto autorevoli. Se non fossimo a Goni ma a Roma sarebbe come ritrovare, uniti nella lotta, il capo del governo e il suo più acerrimo avversario, Matteo Renzi e Renato Brunetta. Sono il sindaco, Mario Cabras, 34 anni, e il capo dell’opposizione, Nello Demuro, 53. Fanno entrambi i poliziotti – il più anziano ormai in pensione – e probabilmente il condividere la professione ha contribuito a creare questa sintonia. Ma l’atto di disubbidienza civile di certo non ci sarebbe stato senza il sostegno dell’intero paese. Fino a poche settimane fa, spiegano, quell’edificio bianco e blu era pieno. Perché tutte le famiglie di Goni si erano opposte alla sua chiusura. Provvedimento determinato dai parametri del “Piano di dimensionamento” della Regione sarda secondo i quali a Goni gli studenti sono troppo pochi per giustificare la presenza di una scuola. Avevano deciso tutti – dal commissario al sagrestano, come avrebbe detto Fabrizio De André – di farla funzionare comunque, di autogestirla.

Se anziché a metà ottobre fossimo arrivati a Goni a metà settembre, avremmo trovato i cancelli della scuola aperti. Avremmo visto, affissi sulla porta, i turni delle lezioni. E poi, varcato l’ingresso, avremmo visto all’opera un sistema scolastico tutto sommato tradizionale, quello delle “pluriclassi”, operativo a Goni – come in tanti piccoli paesi della Sardegna – fin dagli anni Novanta come soluzione pubblica allo spopolamento.

Durante l’autogestione, i ventotto alunni erano distribuiti in tre aule. Due per le scuole primarie, con all’interno un’ulteriore divisione per gruppi omogenei che ricalcavano le classi tradizionali: la seconda e la terza elementare, con sei bambini tutti maschi e cugini tra loro, la quarta e la quinta con dieci iscritti, otto maschi e due femmine. Non esisteva virtualmente la prima elementare perché a Goni non c’è nemmeno un bambino di cinque o sei anni. Per i dodici studenti delle secondarie (tre in prima, cinque in seconda e quattro in terza) bastava una sola aula.

L’orario – dalle 8 alle 13,30 – era assicurato da una staffetta tra dieci adulti, la metà laureati e studenti universitari. Oltre al parroco che, naturalmente, insegnava religione. Due ore al giorno per ciascuno dei volontari, sempre con la stessa classe, seguendo rigorosamente, spesso su fotocopie dei libri di testo, i programmi ministeriali. A coordinare il corpo docente, Priscilla Caparresi, diploma da tecnico del turismo, ex bibliotecaria e insegnante volontaria a sua volta: nella mini classe anche uno dei suoi tre figli, Dimitrj. Un gruppo di “segretarie-bidelle” pensava alle questioni pratiche: dalle pulizie alla colletta per le piccole spese. Tutto era funzionante, fotocopiatore e campanella inclusa.

Nell’aula dell’unica “pluriclasse secondaria”, gli studenti, divisi nei tre sottogruppi, lavoravano in altrettante “isole” di banchi accostati. E mentre, per esempio, in prima si ripassava l’italiano, il gruppo accanto, quello della seconda media, faceva la verifica dei compiti a casa di matematica. Contemporaneamente, per i quattro ragazzi della terza media poteva esserci l’ora di scienze. Stesso ordinato caos multidisciplinare nelle due “pluriclassi primarie” dove, purtroppo, l’autogestione metteva in funzione la lavagna multimediale solo a singhiozzo. C’erano invece la vecchia lavagna di ardesia e i gessetti che la sostituivano egregiamente senza che nessuno ne sentisse la mancanza. Anche perché quel piccolo disagio era compensato dalla comune consapevolezza di non dover patire il disagio, ben più grande, di andare e tornare tutti i giorni, a bordo di quel pullman ancora desolatamente vuoto, a San Basilio, distante tredici chilometri, la prima destinazione alternativa individuata dalle autorità scolastiche per i ventotto ragazzi di Goni.

Le pluriclassi funzionavano benissimo, con la benedizione del sindaco e del capo dell’opposizione e il sollievo delle mamme e dei papà. D’altra parte, avevano funzionato benissimo per venticinque anni, fino alla decisione di sopprimerle. Quello delle pluriclassi è un tema molto controverso e dibattuto, in particolare nelle zone interne della Sardegna, dove il problema dell’altissima dispersione scolastica – che coinvolge con cifre da primato nazionale tutta l’Isola – si unisce a quello dei paesi che si svuotano. Di certo non esiste uno studio che dimostri che le pluriclassi non sono “buona scuola”. A Goni, dove naturalmente i favorevoli sono una maggioranza schiacciante, sostengono che funzionano benissimo. A partire dall’esperienza e dalla vita vissuta. Il capo dell’opposizione Nello Demuro cita con comprensibile orgoglio l’esempio della sua primogenita ora trentenne: «Antonietta è in Francia, a Lille, dove frequenta il dottorato in Storia e filosofia della Scienza. È andata avanti sempre con le borse di studio, ha vinto ovunque, da Cagliari a Bologna. Eppure è partita da una pluriclasse del Gerrei».

L’autogestione è durata appena un mese. Nei registri ufficiali di tutto quanto è stato fatto nelle pluriclassi non c’è traccia. Perché i registri erano altrove, a San Basilio, dove tutte le mattine arrivava quel pullman vuoto e gli insegnanti “veri”, quelli della scuola locale, non potevano fare altro che registrare l’assenza dei ventotto gonesi. Un mese di assenze continue e ingiustificate. I genitori rischiavano una denuncia penale e gli scolari una bocciatura d’ufficio.
A metà ottobre – quando già si fantasticava sulla possibilità di fare un salto di qualità all’autogestione sostituendo progressivamente i volontari con professori individuati tra i tanti in attesa di chiamata e pagati dal Comune – le autorità scolastiche hanno notificato formalmente l’esistenza di quei pericoli. Troppo grandi anche per la tenace gente di Goni. Mestamente le pluriclassi sono state sciolte. Unico risultato: la sede alternativa di San Basilio è stata cancellata e i ragazzi sono stati distribuiti nelle scuole degli altri tre paesi. Devono “pendolare” tutti i giorni. Non più con San Basilio, ma con Ballao, San Nicolò Gerrei e Senorbì. Che sono anche un po’ più distanti di San Basilio: le famiglie comunque li hanno preferiti perché c’è un ricorso legale in piedi e hanno temuto che “arrendersi” a San Basilio potesse essere interpretato come un atto di rinuncia a far valere le loro ragioni.
Tutto chiaro, dunque? Non proprio. Resta il mistero del pullman vuoto. Un mistero buffo. Già, perché il pullman è vuoto per la semplicissima ragione che continua ad andare a San Basilio. Non può andare nelle nuove sedi. No: la sua destinazione è vincolata. Così l’autogestione, dalla scuola si è trasferita ai trasporti. Papà e mamme fanno gli autisti, ancora a turno, andata e ritorno. E la scuola appena ristrutturata?: «Le chiavi le ha il Comune– spiega ancora combattivo il capogruppo di minoranza, Demuro – presto lì si farà il doposcuola».

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