La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

La fine della guerra

Nei racconti del vecchio tziu Antiogu Pistis – detto Perdingianu (melanzana) per via di un incarnato assai scuro – i più combattivi attori della resistenza antinazista in Sardegna furono is tintulas, le zanzare. Si doveva a loro, sottolineava, la decimazione degli organici della divisione corazzata della Wehrmacht approdata nell’Isola durante la sua fuga dalle disfatte libiche: “N’anti bocciu mera de prusu is tintulas de su mitra” (Ne hanno ucciso più le zanzare del mitra) sintetizzava Perdingianu. In effetti, in quegli otto mesi, i soldati tedeschi dovettero seppellire diverse decine di loro commilitoni, infettati e colpiti a morte dal plasmodio, il virus trasmesso dalle implacabili zanzare, e dalle conseguenti febbri malariche. Purtroppo, i reparti delle Sturmabteilung, le temibili SA hitleriane, non erano le sole vittime. Is tintulas non risparmiavano nessuno. Tra il 1943 e il 1945 i nuovi casi accertati nell’Isola furono quasi 80mila e oltre 150 le morti. Non si trattava di un castigo divino per le atrocità che l’uomo stava compiendo in quel terribile conflitto mondiale. I sardi convivevano con le febbri malariche da millenni, tanto che due su tre erano malarici cronici, e ne pativano le conseguenze, a partire da un’aspettativa di vita assai inferiore rispetto a quella, per esempio, dei liguri e dei veneti. La malaria minava l’organismo e anche l’economia, raramente la stagione lavorativa andava oltre gli otto mesi, per via della pericolosità e dell’insalubrità del lavoro, specie all’aperto, durante l’estate.

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Immagine ©ISRE Fondo Wolfgang Suschitzky

 

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