La Sardegna di oggi per la Memoria di domani

La privazione della diversità è la punizione più forte che una società possa autoinfliggersi.
Spinti dalla paura e gonfiati dall’egoismo, rifuggiamo la conoscenza dell’altro e perdiamo quanto di più prezioso possa arrivare dalla mescolanza di saperi, di sapori, e di necessità.
Perché è solo con l’interrogarsi sulle necessità dell’altro che possiamo arricchire e rendere reale la vita che viviamo.
In questo spazio tutto ruoterà attorno alla costruzione di un ponte tra le diversità che conosciamo, quelle che rifiutiamo, e quelle che ancora dobbiamo scoprire.
E quindi eccoci, nello spazio delle possibilità e dell’accoglienza.
Siamo tutti stranieri in terra altrui, fino a quando il nostro prossimo non incontrerà il nostro sguardo, e lo farà proprio.

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Passò tutto davanti ai suoi occhi, un immenso mare nocciola affastellato da infinite pagliuzze dorate.
Ciascuna avrebbe potuto essere un segno, quello di ogni alba cocente che aveva conosciuto, quando il sole gli attraversava la pelle sin dalle prime ore del mattino, lasciando dei solchi ben più profondi di quel che la superficie lasciava immaginare.
Trovò strano quanto ora amasse quel sole che tanto lo aveva ferito in passato, nella loro personalissima disamistade iniziata nel cuore del Libano tanto tempo prima.
“Non conosco un colore più bello di questo.”
“Come?”
“Scusa, non mi ero accorta… qual è il tuo nome?”
“… Ayham”
“Non mi chiedi quale sia il mio?”
“Non volevo, cioè, io…”
“Mi chiamo Yuliya, ma puoi chiamarmi Yulechka. Grazie Ayham.”
“Di che?”
“Di avermi osservato. Di avermi parlato. Di questo.”
Ayham superò il primo momento di imbarazzo. Ora riusciva a far scorrere le parole. Due persone così distanti, due storie così lontane tra loro – almeno così pensava lui ma, del resto, nulla sapeva di Yulechka – che ora, grazie a quel luogo che li aveva ospitati e a quella lingua che entrambi masticavano con orgoglio, sentivano di essere vicini.
“Non ho fatto nulla di straordinario, ma sono contento di averlo fatto.”
“Tutto è straordinario Ayham. Pensa alla luce che ora ci avvolge…”
Un attimo di esitazione.
Era stata così sicura sino a quel momento, ma nell’istante in cui aveva pronunciato quel “ci”, la sua voce aveva avuto un sussulto.
Yulechka fu interrotta dalla dolce vecchietta con un cenno della mano.
“Ora devo andare. Le piace stare qui ogni sera, al tramonto. Ma non vuole vedere il sole scomparire oltre i monti, non posso tardare. Viene qui per salutare il suo Gianni, così mi ha detto, una sola volta, e io non ho chiesto di più.”
“Grazie Yulechka.”
“E di che?”
“Di avermi osservato. Di avermi parlato.”
“Arrivederci Ayham.”
“Arrivederci.”
Si voltò verso la signora, sbloccò il freno della sedia, e la spinse dolcemente in direzione del piccolo parcheggio.
Ayham si ritrovò immobile, lo sguardo fisso sulle due figure che si allontanavano.
Per la prima volta aveva scordato ciò che lo tormentava. Per la prima volta si era sentito vivo.
Era stato avvolto da una dolcezza che troppi strati di sale avevano sepolto, tanto tempo fa.
Quando Yulechka scomparve dietro la curva, avvertì un brivido di freddo scuotergli la schiena, lì dove la pelle portava i segni più duri del suo passato, dove i fantasmi avevano inferto le ferite più profonde.
Chiuse gli occhi, e scacciò quel dolore con l’immagine di lui e Yulechka che si allontanavano mano nella mano, così come dovevano aver fatto, tanto tempo prima, la vecchietta e il suo Gianni.

Rossano Mameli