La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Il lavoro agricolo e i trattori-killer

Una stagione che non cambia è quella degli infortuni sul lavoro. Estate e inverno, primavera e autunno, si continua a morire in modo atroce in molti luoghi di lavoro. Si può morire anche in una fabbrica di panettoni, come è accaduto all’inizio di dicembre ad un operaio di 23 anni rimasto intrappolato nel macchinario per impastare i dolci in un’azienda torinese. Neppure Dickens avrebbe saputo immaginare una irrisione del Natale così feroce. Il giovane operaio era uno dei tanti lavoratori stagionali che vengono assunti in autunno per garantire le produzioni e le vendite natalizie: il suo contratto era iniziato a ottobre e scadeva a dicembre, pare fosse addetto ai forni e che lavorasse nel turno di notte. Probabilmente era passato da un giorno all’altro dalla disoccupazione ad un’occupazione pesante, per un tempo breve e fatale.

Ogni anno in Italia si verificano centinaia di migliaia di infortuni sul lavoro, sommati nel tempo fanno milioni di lavoratori feriti, spesso con invalidità permanenti, e migliaia di morti. In sessant’anni (dal 1955 al 2015) ci sono stati quasi 70 milioni di infortuni e 150mila morti sul lavoro, oltre a milioni di lavoratori e lavoratrici che hanno contratto nel tempo malattie professionali. Sembrano le cifre di una guerra, invece è il pesante costo umano dello sviluppo economico dell’Italia. Purtroppo anche la scarsa crescita e la crisi economica degli ultimi dieci anni hanno avuto un prezzo alto in termini di incidenti e morti sul lavoro, perché le condizioni di lavoro sono drasticamente peggiorate (precarietà diffusa, retribuzioni basse, forme di irregolarità, tagli agli investimenti nella sicurezza) e l’intensificazione dei processi lavorativi (ritmi di lavoro più serrati e orari più estesi) ha sostenuto la produzione e la produttività a danno della sicurezza e della salute.

Nel solo 2015 sono stati denunciati all’Inail 636.766 infortuni: significa che ogni giorno dell’anno, festività comprese, si sono feriti 1.745 lavoratori e più di tre sono morti. Le cosiddette “morti bianche” – in realtà cruentissime, perché sul lavoro si muore in modi atroci – sono state 1.246, in aumento rispetto all’anno precedente. Circa un quarto delle morti avviene in itinere, cioè andando o tornando dal lavoro, quando la fatica o la fretta – e le condizioni delle strade – espongono i lavoratori al rischio di incidenti stradali mortali (tra le donne l’incidenza delle morti in itinere è quasi doppia rispetto agli uomini).

Il bilancio del 2016 non è ancora definito, ma i dati provvisori mostrano che gli incidenti sul lavoro continuano a ripetersi con le stesse dinamiche, a dimostrazione del fatto che non si tratta di fatalità. In Sardegna l’incidenza dei morti sul lavoro è elevata, perché la base occupazionale comprende una quota particolarmente consistente di occupati in edilizia (circa la metà degli addetti totali dell’industria è nel comparto edile), ma c’è anche un’occupazione agricola ancora significativa e composta più che altrove da lavoratori autonomi. Edilizia e agricoltura sono i settori tradizionalmente più esposti al rischio di infortuni.

Prima era la miniera il posto di lavoro più pericoloso, ora sono i terreni scoscesi: in Sardegna il rischio di ribaltamento del trattore è tre volte più elevato che nelle altre regioni. L’ultimo episodio è avvenuto l’8 dicembre a Giba dove è morto un’uomo di 75 anni. Una settimana prima, ad Aglientu, si era verificata un’identica tragedia. A livello nazionale, il 31 per cento degli infortuni mortali avviene nel settore agricolo, e oltre il 60 per cento dei morti in agricoltura è causato dal trattore che si ribalta. Dall’inizio del 2016 in Italia sono morti in questo modo atroce 123 agricoltori, 132 erano morti nel 2015 e 152 nel 2014 (dati dell’Osservatorio indipendente di Bologna): in tre anni più di 400 morti nello stesso modo. L’orografia dei terreni, l’obsolescenza dei mezzi, l’età avanzata del conducente, l’abitudine a considerare le attività agricole alla portata di tutti, sono i principali fattori di rischio per chi lavora in campagna.

Lilli Pruna

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