La Sardegna di oggi per la Memoria di domani

Giovanni Coda, classe 1964, cagliaritano, è uno dei registi sardi più premiati a livello internazionale, ma il grande pubblico lo conosce meno di quanto lo conoscono e lo stimano i suoi colleghi. Videoartista sperimentale, operatore culturale, ha cominciato dedicarsi al cinema alla fine degli anni Ottanta realizzando una serie di cortometraggi dal contenuto originale, spesso provocatorio, che studiano, quasi con lo sguardo dell’entomologo, le contraddizioni sociali, le ombre del mondo contemporaneo, la violenza sui corpi, il loro disfacimento in opposizione ai paradigmi assoluti della “bellezza”, della “giovinezza”, dell’”immortalità”. Il suo è un cinema che, fino a non molto tempo fa si sarebbe definito “di nicchia”, ostinatamente impegnato a raccontare gli umili, i vinti, i sofferenti. In queste settimane, è alla lavorazione finale del suo ultimo lavoro, Mark’s diary. Ispirato al libro autobiografico di Maximiliano Ulivieri, Loveability, il film affronta il problema della sessualità dei disabili, un argomento difficile, fino ad ora poco presente nei media. Ma è davvero ancora “di nicchia” il cinema di Coda? O non ha forse anticipato quelli che oggi sono i temi emergenti nel dibattito politico e culturale? Ne abbiamo parlato con lui.

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