La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Il catechismo del progresso

Ce per il “rifiorimento” sociale ed economico della Sardegna si fossero impegnati, dal XVIII secolo in avanti, monaci e religiosi è abbastanza noto, visto quel che di buono fecero benedettini, agostiniani, gesuiti e salesiani per il progresso della popolazione isolana. Ma che anche vi si fossero fortemente impegnati dei vescovi, cioè dei rappresentanti del Pontefice posti alla guida delle comunità di fedeli di quest’isola, è certamente meno noto. Eppure, fra il 1910 ed il 1922, in terra d’Ogliastra, si sarebbe verificato quest’evento, con la presenza di un vescovo che, oltre alla diffusione quotidiana del “pane dell’anima”, come recita la bella preghiera del Padre Nostro, si sarebbe adoperato perché ai suoi fedeli non venisse mai a mancare il “pane del corpo”. Quel vescovo era giunto dal Vulture, in Lucania, un’enclave di povertà sociali e di arretratezze civili non molto differente dall’Ogliastra d’allora. Da quella terra ingrata aveva tratto il convincimento che per poter divenire dei buoni cristiani fosse prioritario sconfiggere le difficoltà e le pene della vita quotidiana, ed in tal senso s’era adoperato, diffondendo idee e realizzando opere, in unità d’intenti con Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti, due suoi grandi amici oltre che autorevoli assertori delle politiche per lo sviluppo socio-economico del Mezzogiorno.  Quel presule era Emanuele Virgilio. Era giunto a Tortolì appena quarantaduenne, il 5 di novembre del 1910, inviato in quella diocesi di frontiera, con giusta preveggenza, da Pio X.

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