La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Anatomia di un peculato

Ricevute, scontrini, fatture e contratti. “Pezze giustificative” dei ventiquattro milioni di euro spesi in dieci anni dai gruppi politici rappresentati nel consiglio regionale della Sardegna. Dal loro esame emerge che coi soldi pubblici si comprava di tutto – dalle automobili alle ricariche telefoniche – e si pagavano viaggi, appartamenti e persino matrimoni. Migliaia di documenti uniscono la tredicesima e la quattordicesima legislatura, dal 2004 al 2014. La Procura di Cagliari passa al setaccio ogni acquisto aprendo due inchieste gemelle. È il 2009 quando partono i primi venti avvisi di garanzia per peculato aggravato; nell’ottobre del 2013 il secondo atto con un’altra sessantina di indagati e poco dopo, tra novembre e dicembre, tre consiglieri finiscono dietro le sbarre insieme a un imprenditore. Sette mesi più tardi un quinto arresto.
I politici imputati, e i loro agguerriti legali, ce la mettono tutta per sostenere la legittimità delle spese. E anche per corroborare l’argomento tecnico-giuridico secondo cui l’onere della prova spetterebbe all’accusa.
Ma piovono le condanne: tra processi ordinari e riti abbreviati sono già sedici quelle in primo grado, due le conferme in appello.
Escluse due sentenza definitive frutto di altrettanti patteggiamenti, il verdetto della Cassazione deve ancora venire e per tutti vale la presunzione di innocenza. Ma la politica, in un certo senso, ha già “confessato” il fallimento del sistema con cui si finanziavano i gruppi consiliari: il 9 gennaio 2014 l’assemblea regionale ha cancellato la legge che lo prevedeva e lo regolamentava ponendo fine a una storia cominciata sessantacinque anni prima.
Gli atti processuali consentono di individuare una lista di “cose”: di beni e di servizi che sono stati comprati con denaro pubblico da esponenti politici eletti per amministrare le risorse con prudenza e oculatezza. Nel loro insieme gli acquisti fatti dai consiglieri regionali nel decennio 2004-2014 compongono una sorta di “paniere Istat del Palazzo”, punteggiato di opacità amministrative. Abbiamo provato a ricostruirlo voce per voce.

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